mercoledì 25 giugno 2008

Cambio del cognome o aggiunta al proprio di altro cognome


Tipologia servizio: Stato civile - Anagrafe

Chi può fare la richiesta: I cittadini italiani residenti in Italia, i cittadini italiani residenti all’estero, i genitori dei minorenni adottati.

Erogazione del servizio:
Chiunque vuole cambiare il cognome od aggiungere al proprio un altro cognome deve farne richiesta al Ministero dell'Interno tramite il Prefetto della provincia di residenza.

Cosa occorre per fare la richiesta:

  • Domanda in bollo, € 14,62 indirizzata al Ministero dell’Interno e presentata al Prefetto della Provincia di residenza. Nella domanda deve essere indicata la modifica che si intende apportare o il cognome che si intende aggiungere. Se il richiedente è minorenne, l'istanza di aggiunta di cognome deve essere sottoscritta da entrambi i genitori,
  • Copia integrale dell’atto di nascita (da richiedere presso l'Ufficio Anagrafe del Comune di nascita);
  • Certificato di stato di famiglia e residenza anche in autocertificazione;
  • Certificato dei carichi pendenti ovvero autocertificazione, con la quale si dichiari di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatari di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa (art.46 D.P.R. 28.12.2000, n.445) e di non essere a conoscenza dell’esistenza di procedimenti penali in corso;
  • Fotocopia del documento di riconoscimento (in caso di minore è richiesto quello di entrambi i genitori);
  • Consenso dei parenti entro il quarto grado, che portano il cognome che si intende assumere, con fotocopia di un documento di riconoscimento di ciascuno di loro. Se tra i parenti ci fossero persone decedute, occorre produrre il relativo certificato di morte. Se non ci sono più parenti in vita, atto notarile che attesti quanto dichiarato.

N.B.:

Per i cittadini stranieri non è prevista l'attivazione della procedura di cambiamento del nome e del cognome - Circolare Ministero Interno 66/2004.



Documentazione:

  1. Domanda motivata in bollo indirizzata al Ministero dell'Interno tramite la Prefettura di Lucca. Nel caso di minori la domanda dovrà essere sottoscritta da entrambi i genitori;

  2. Autocertificazione di residenza e stato di famiglia. Nel caso di minori l'autocertificazione deve riguardare entrambi i genitori;

  3. Fotocopia di un documento di identità. Nel caso di minori di entrambi i genitori;

  4. Eventuale documentazione che l'istante o gli istanti ritengano necessaria per sostenere le motivazioni dichiarate nell'istanza;

  5. Dichiarazione di assenso degli eventuali cointeressati accompagnata dalla fotocopia di un documento di identità.


Procedimento:
Il Prefetto, effettuata l'istruttoria, esprime motivato parere in merito all'eventuale accoglimento dell'istanza, trasmettendo, poi, tutta la documentazione al Ministero dell'Interno.
Il suddetto Ministero, qualora la richiesta appaia meritevole di essere presa in considerazione, emana il decreto che autorizza la pubblicazione di un sunto della medesima all'albo pretorio del comune di nascita e di quello di residenza. La pubblicazione deve avere la durata di 30 giorni, ai quali devono seguire altri 30 giorni per eventuali opposizioni. Trascorsi i termini, il Ministro emana un secondo decreto che autorizza al cambiamento richiesto e ordina all'ufficiale di stato civile del comune di residenza, su istanza degli interessati, di apportare la variazione nei registri di stato civile.

Costo del servizio:
Marca da bollo da € 14,62 sull'istanza e sui decreti rispettivamente di autorizzazione all'affissione e di autorizzazione al cambiamento, nonché sulle copie dei predetti decreti.

Normativa:
  • D.P.R. del 3/11/2000 n. 396 (artt. 84, 85, 86, 87, 88).

Onorificenze, ieri e oggi

Pubblichiamo questo articolo di giornale del 1° settembre 1943 della Gazzetta di Venezia. Interessanti i parallelismi che potrebbero essere fatti con situazioni a noi più vicine.

Cliccare sopra l'immagine per ingrandirla, grazie.

martedì 24 giugno 2008

Il Baciamano: consigli, usi e costumi


Per parlare del baciamano non possiamo iniziare non citando colui che per primo pose in forma scritta le regole da tenersi nella società e nel buon costume. Giovanni della Casa, nel suo Galateo, ci dice che:

[ da XIV ] Secondo che un buon uomo mi ha più volte mostrato, quelle solennità che i cherici usano d'intorno agli altari e negli ufficii divini e verso Dio e verso le cose sacre si chiamano propriamente cirimonie: ma, poiché gli uomini cominciaron da principio a riverire l'un l'altro con artificiosi modi, fuori del convenevole, et a chiamarsi "padroni" e "signori" tra loro, inchinandosi e storcendosi e piegandosi in segno di riverenza, e scoprendosi la testa e nominandosi con titoli isquisiti, e basciandosi le mani come se essi le avessero, a guisa di sacerdoti, sacrate, fu alcuno che, non avendo questa nuova e stolta usanza ancora nome, la chiamò "cirimonia", credo io per istratio, sì come il bere et il godere si nominano per beffa "trionfare". La quale usanza sanza alcun dubbio a noi non è originale, ma forestiera e barbara, e da poco tempo in qua, onde che sia, trapassata in Italia: la quale, misera, con le opere e con gli effetti abbassata et avilita, è cresciuta solamente et onorata nelle parole vane e ne' superflui titoli. Sono adunque le cirimonie, se noi vogliamo aver risguardo alla intention di coloro che le usano, una vana signification di onore e di riverenza verso colui a cui essi le fanno, posta ne' sembianti e nelle parole, d'intorno a' titoli et alle proferte.

[ da XVI ] E quantunque il basciare per segno di riverenza si convenga dirittamente solo alle reliquie de' santi corpi e delle altre cose sacre, non di meno, se la tua contrada arà in uso di dire nelle dipartenze: -Signore, io vi bascio la mano- o -Io son vostro servidore- o ancora: -Vostro schiavo in catena-, non dèi esser tu più schifo degli altri, anzi, e partendo e scrivendo, dèi salutare et accommiatare non come la ragione, ma come l'usanza vuole che tu facci; e non come si voleva o si doveva fare, ma come si fa.

Si ricordi poi come il baciamano vada fatto solo rigorosamente nei locali chiusi. E' assolutamente precluso nei locali aperti, in Chiesa inopportuno. Si ricordi che la mano della donna va sollevata fino a sfiorarla con le labbra; nel contempo si china leggermente la testa. Si ricordi anche che se la gentile mano è coperta dal guanto non si fa il baciamano mai, neanche se fosse la Regina.
In “Usages du Monde, règles du savoir-vivre dans la société moderne” della Baronessa Staffe (pseudonimo di Blanche Soyer, 1843-1911), è stato il “galateo” francese fino alla seconda guerra mondiale. Il manuale sostiene che il baciamano non va fatto con le ragazze e in nessun caso all’aperto o in un luogo pubblico, “cosa che molti uomini oggi dimenticano”.
Da varie parti si suggerisce però un’eccezione (che risulta doppia) per la signorina in abito da sposa: quando il padre, o il futuro marito, le aprono la porta dell’automobile e l’aiutano a scendere. Ovvio che qui siamo all'aperto.

Qualche consiglio bibliografico:
Giovanni Della Casa, Galateo, Torino, Einaudi (Tascabili. Classici), 2006
Lina Sotis, Il nuovo bon ton, Milano, Rizzoli (BUR), 2006
Nicola Santini, Businnes+Etiquette, Felici ed., 2004
AA. VV., Galateo. Ovvero l'arte del buon vivere, Savigliano, Gribaudo (Tempolibero), 2002

giovedì 19 giugno 2008

ISTRUZIONE SUL CONFERIMENTO DI ONORIFICENZE PONTIFICIE


ISTRUZIONE SUL CONFERIMENTO DI ONORIFICENZE PONTIFICIE


I Vescovi diocesani possono proporre il conferimento di una onorificenza pontificia ad ecclesiastici e laici, in segno di apprezzamento e riconoscenza per il servizio prestato. Un Vicario Generale può parimenti richiedere tale conferimento, dichiarando però esplicitamente di procedere in merito con espressa autorizzazione del proprio Vescovo. La richiesta, accompagnata dal curriculum vitae dei candidati (età, professione, condizione familiare e sociale, con descrizione accurata delle benemerenze acquisite nei riguardi della Chiesa), dovrà essere inviata alla Nunziatura Apostolica, che la farà pervenire – corredata dal proprio nulla osta – alla Segreteria di Stato. Le domande provenienti dai territori soggetti alla vigilanza delle Congregazioni per le Chiese Orientali e per l’Evangelizzazione dei Popoli, siano prima inviate al Dicastero competente che provvederà poi a trasmetterle alla Segreteria di Stato.

CLERO SECOLARE

1. Cappellano di Sua Santità, a sacerdoti che abbiano compiuto almeno 35 anni di età e 5 di sacerdozio;
2. Prelato d’Onore di Sua Santità, a sacerdoti che abbiano compiuto 45 anni di età e 15 di sacerdozio;
3. Protonotario Apostolico soprannumerario, a sacerdoti che abbiano compiuto almeno 55 anni di età e 20 di sacerdozio;
4. Di norma, si rispetti la “gradualità”: si richieda cioè per il candidato prima il titolo di Cappellano e poi quello di Prelato. Tra un grado e l’altro dovranno trascorrere almeno 10 anni;
5. Per alcuni casi particolarmente meritevoli e significativi, i Vescovi potranno richiedere direttamente il titolo di Protonotario Apostolico soprannumerario, salva restando la condizione che il candidato abbia compiuto almeno 55 anni di età e 20 di sacerdozio;
6. Per ogni diocesi, il numero di Cappellani, Prelati e Protonotari non dovrà superare il 10% del clero.

RELIGIOSI E RELIGIOSE

Per i Religiosi e le Religiose, dopo un congruo periodo di servizio, si possono richiedere come distintivi d’onore la Medaglia Benemerenti e la Croce Pro Ecclesia et Pontifice:

1. Medaglia Benemerenti: a candidati con almeno 35 anni di età e 10 di professione religiosa;
2. Croce Pro Ecclesia et Pontifice: a candidati con almeno 45 anni d’età e 15 di professione religiosa.

LAICI

Per i laici, uomini e donne, gli Ordini Equestri che attualmente si conferiscono sono gli Ordini Piano, di San Gregorio Magno e di San Silvestro Papa nei gradi di Cavalieri e Dame di Collare (unicamente per l’Ordine Piano); Cavalieri e Dame di Gran Croce; Commendatori e Dame di Commenda; Cavalieri e Dame. Insieme agli Ordini Equestri Pontifici esistono, come distintivi d’onore, la Medaglia Benemerenti e la Croce Pro Ecclesia et Pontifice. L’Ordine Supremo del Cristo e l’Ordine dello Speron d’Oro, anche se non aboliti, non vengono attualmente presi in considerazione.

ORDINE PIANO

1. il Collare viene concesso ai Capi di Stato;
2. la Gran Croce a Capi di Governo, Ministri di Stato e Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.

ORDINE DI SAN GREGORIO MAGNO

1. Gran Croce: a candidati/e di alto profilo nel servizio della Chiesa, a livello nazionale e internazionale, con almeno 55 anni di età e dopo 10 anni dal conferimento di una onorificenza gi grado inferiore;
2. Commenda con Placca: a candidati/e particolarmente benemeriti, con almeno 50 anni di età e dopo 10 anni dal conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
3. Commenda: a candidati/e benemeriti, con almeno 45 anni di età e dopo 10 anni dal conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
4. Cavalierato: a candidati/e con almeno 40 anni di età.

ORDINE DI SAN SILVESTRO PAPA

1. Gran Croce: a candidati/e particolarmente benemeriti, con almeno 50 anni di età e dopo 10 anni dal conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
2. Commenda con Placca: Commenda: a candidati/e benemeriti, con almeno 45 anni di età e dopo 10 anni dal conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
3. Commenda: a candidati/e con almeno 40 anni di età e dopo 10 anni dal conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
4. Cavalierato: a candidati/e con almeno 35 anni di età.

MEDAGLIA “BENEMERENTI” E
CROCE “PRO ECCLESIA ET PONTIFICE”

1. è possibile richiedere anche per i laici (uomini e donne) la Medaglia Benemerenti e la Croce Pro Ecclesia et Pontifice alle stesse condizioni fissate per il Religiosi, e cioè 35 anni di età per la Medaglia Benemerenti e 45 anni di età per la Croce Pro Ecclesia et Pontifice.
2. anche in questo caso venga rispettato il criterio di “gradualità” espresso per gli ecclesiastici.

CARABINIERI E MILITARI IN GENERE

Le Onorificenze vengono concesse solo a chi abbia raggiunto il grado di Capitano e seguenti. Si eviti dunque di sollecitarne la concessione per Marescialli, Sotto-Tenenti e Tenenti. A Capitani, Capitani Maggiori e Maggiori viene concesso l’Ordine di San Silvestro; a Tenenti Colonnelli, Colonnelli e Generali l’Ordine di San Gregorio Magno, nei diversi gradi.

ECCLESIASTICI NEL SERVIZIO DIPLOMATICO DELLA SANTA SEDE

Per quanti prestano servizio presso le Rappresentanze Pontificie:

1. Cappellano di Sua Santità, a sacerdoti con 35 anni di età, 10 di sacerdozio e almeno 3 anni di servizio all’estero;
2. Prelato d’Onore di Sua Santità, a sacerdoti con 45 anni d’età, 15 di sacerdozio e almeno 10 di servizio.

Per quanti prestano servizio presso la Segreteria di Stato, si segue lo stesso criterio adottato per gli Officiali della Curia Romana, e cioè:

1. Cappellano di Sua Santità, a sacerdoti con 35 anni di età, 10 di sacerdozio e almeno 5 di servizio;
2. Prelato d’Onore di Sua Santità, a sacerdoti con 45 anni d’età, 15 di sacerdozio e dopo 10 anni dalla nomina a Cappellano.

MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO
PRESSO LA SANTA SEDE

Ambasciatori

1. Gran Croce dell’Ordine Piano (se residenti a Roma e dopo due anni dalla presentazione delle Lettere Credenziali).
2. Gran Croce dell’Ordine di San Gregorio Magno (se non residenti a Roma e dopo due anni dalla presentazione delle Lettere Credenziali).

Ministri Consiglieri e Ministri di Ambasciata residenti a Roma (al momento del loro trasferimento e dopo due anni dall’arrivo)

1. Commenda con placca dell’Ordine di San Gregorio Magno.

Segretari di Ambasciata residenti a Roma (al momento del loro trasferimento e dopo due anni dall’arrivo)

1. Commenda dell’Ordine di San Gregorio Magno.

Addetti di Ambasciata residenti a Roma (al momento del loro trasferimento e dopo due anni dall’arrivo)

1. Cavalierato dell’Ordine di San Gregorio Magno.

OFFICIALI DELLA CURIA ROMANA

La proposta di conferimento di una distinzione pontificia agli Officiali della Curia Romana, deve essere presentata alla Segreteria di Stato - insieme al curriculum vitae dettagliato del candidato - da parte del Capo Dicastero.

CLERO SECOLARE

2. Cappellano di Sua Santità, a sacerdoti con 35 anni di età, 10 di sacerdozio e almeno 5 di servizio (con più di 40 anni di età, sono sufficienti 3 anni di servizio);
3. Prelato d’Onore di Sua Santità, a sacerdoti con 45 anni di età, 15 di sacerdozio e dopo almeno 10 anni dalla nomina a Cappellano.

CLERO REGOLARE E RELIGIOSI

1. Medaglia Benemerenti: a candidati con almeno 35 anni di età, 10 di professione religiosa e 10 di servizio;
2. Croce Pro Ecclesia et Pontifice: a candidati con almeno 45 anni di età, 15 di professione religiosa e 15 di servizio.

LAICI CHE PRESTANO SERVIZIO NELLA CURIA ROMANA

La proposta di conferimento di una distinzione pontificia ai dipendenti laici della Santa Sede deve essere presentata alla Segreteria di Stato – insieme al curriculum vitae dettagliato del candidato – da parte del Capo Dicastero.

ORDINE DI SAN GREGORIO MAGNO

1. Commenda con placca: a Capi Ufficio o equivalenti, a fine servizio o dopo 50 anni di età e 20 di servizio;
2. Commenda: a Minutanti o Aiutanti di Studio, con 45 anni di età, 15 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
3. Cavalierato:

• a Minutanti o Aiutanti di Studio, con 35 anni di età, 10 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
• ad Addetti di Segreteria, con 40 anni di età, 10 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore.

ORDINE DI SAN SILVESTO PAPA

1. Commenda: a Minutanti o Aiutanti di Studio, con 40 anni di età, 10 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
2. Cavalierato:

• ad Addetti di Segreteria, con 35 anni di età, 10 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
• ad Addetti tecnici, con 40 anni di età, 15 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
• a Scrittori, con 50 anni di età, 10 di servizio e dopo 5 anni dall’eventuale conferimento di una onorificenza di grado inferiore;
• a Commessi ed Uscieri, al momento del pensionamento o dopo 50 anni di età e 20 di servizio (questi ultimi, prima dei 50 anni e dopo 10 anni di servizio, potranno ricevere la Medaglia Benemerenti e, dopo 15 anni di servizio, la Croce Pro Ecclesia et Pontifice).

Per le donne non religiose ci si può ispirare ai criteri seguiti per gli uomini di pari grado.

Città del Vaticano, 13 maggio 2001

martedì 17 giugno 2008

A proposito di affermazioni fuorvianti o errate circa lʼOrdine dei SS. Maurizio e Lazzaro


LʼOSSERVATORE ROMANO
Anno 142 (2002) - n. 152 - Giovedì 4 luglio 2002 - p. 2
(enuncia la seguente, n.d.r.)

Precisazione
“Vari lettori ci hanno chiesto informazioni circa lʼatteggiamento della Santa Sede nei confronti
di Ordini Equestri dedicati a Santi o aventi intitolazioni sacre.
Al riguardo, siamo autorizzati a confermare quanto già pubblicato in passato dal nostro
giornale: la Santa Sede, oltre ai propri Ordini Equestri, riconosce e tutela due soli Ordini
Cavallereschi: il Sovrano Militare Ordine di Malta – ovvero Sovrano Militare Ordine Ospedaliero
di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta – e lʼOrdine Equestre del
Santo Sepolcro di Gerusalemme.”

La “Precisazione” autorizzata dalla S. Sede stessa e pubblicata in grassetto su L’Osservatore
Romano non solo pone nel nulla il contenuto della Lettera scritta a Ginevra il 29 Agosto 2007 a
firma di Johannes Niederhauser, Gran Cancelliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, in
particolare il punto n. 2, ma la rende addirittura mendace, implicandola, per ciò stesso, in tutte le
conseguenze del caso.
Con lʼoccasione si fa notare che tra lʼaltro è stato detto, con incredibile approssimazione, che
lʼOrdine dinastico dei SS. Maurizio e Lazzaro, essendo stato istituito nel 1572 con bolla papale,
“costituisce per il diritto canonico, un'associazione pubblica di fedeli con scopo di carità e, forse,
di culto, eretta dalla Somma Autorità della Chiesa in epoca medievale e dalla Chiesa ancora riconosciuta siccome esistente ed operante in conformità al mandato originario”.
LʼOsservatore Romano, organo ufficioso della S. Sede, che si riproduce qui di seguito, confuta
del tutto questa tesi.

Sembra opportuno ancora precisare che è fuorviante ed errata lʼaltra affermazione secondo cui il
Gran Maestro dellʼOrdine è anche il Capo della Casa, essendo vero lʼesatto contrario, cioè che il
Capo della Casa è Gran Maestro degli Ordini dinastici: la decadenza dinastica (per violazione
delle leggi dinastiche della Casa) implica lʼincapacità a rivestire il Gran Magistero.

giovedì 12 giugno 2008

LA SEDUTA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DEL 10 GIUGNO 1946


Si è appena spento l’eco delle celebrazioni istituzionali della “festa della Repubblica”, appaiata alla sfilata delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine per la via dei Fori Imperiali ( cerimonia che in tutto rievoca le passate glorie del Regno d’Italia…), ma more solito – tranne per la lodevole eccezione del programma di RAI TRE di Minoli – il tono è stato come non mai “trionfalistico”.
L’Unione Monarchica Italiana, fondata in Roma liberata nel 1944 e custode fedele del messaggio di Umberto II, Re mai abdicatario, vuole ricordare che:
- il 2 e il 3 giugno furono le date in cui si svolse la consultazione referendaria assieme alle elezioni per l’assemblea costituente ( e non come spesso detto il giorno della proclamazione della Repubblica….);
- il 4 giugno il Presidente del Consiglio dei Ministri De Gasperi scriveva al Ministro della Real Casa Falcone Lucifero che a suo parere era impossibile il prevalere della scelta repubblicana;
- che il 5 giugno il Ministro degli interni, Romita, in violazione della legge, annunciava nel corso di una conferenza stampa i risultati a lui noti e che vedevano prevalere la repubblica;
- il 10 giugno, alle ore 18.00, la Suprema Corte di Cassazione, riunitasi in seduta ordinaria (tanto che i suoi componenti indossavano solo la toga “nera” di servizio e non quella solenne bordata di ermellino), incaricata di procedere ai sensi del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 219 del 27 aprile 1946, esaminati i verbali trasmessi da tutti gli uffici circoscrizionali, dava atto che alla Repubblica erano stati attribuiti voti per 12.672.767 e che alla Monarchia erano stati attribuiti voti per 10.688.905, e chiudeva così il verbale:

LA CORTE, A NORMA DELL’ ART. 19 DEL DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 219 DEL 1946, EMETTERA’ IN ALTRA ADUNANZA IL GIUDIZIO DEFINITIVO SULLE CONTESTAZIONI, LE PROTESTE E I RECLAMI PRESENTATI …CONCERNENTI LO SVOLGIMENTO DELLE OPERAZIONI RELATIVE AL REFERENDUM; INTEGRERA’ I RISULTATI COI DATI DELLE SEZIONI ANCORA MANCANTI ED INDICHERA’ IL NUMERO COMPLESSIVO DEGLI ELETTORI VOTANTI E QUELLO DEI VOTI NULLI.

L’Unione Monarchica Italiana, oggi come allora, eleva la sua formale e vibrata protesta per quanto avvenne all’indomani di tale pronuncia della Suprema Corte di Cassazione e che Umberto II, all’atto di partire da Roma, stigmatizzerà nel suo messaggio agli Italiani del 13 giugno 1946
Francesco Atanasio
Vice Segretario Nazionale U.M.I.

LE RESPONSABILITA' DELL'AVVENTO DEL FASCISMO


In queste settimane è in edicola in dvd la ristampa della "Storia del Fascismo" edizioni RAI-TRADE ad Euro 9,99 da acquistare singolarmente o con alcuni quotidiani tra i quali il Corriere della Sera. Bene sul settimanale del Corsera, "Magazine", commentando il terzo fascicolo (La sconfitta delle opposizioni e la costituzione dello stato autoritario 1925-26), laddove il 3 gennaio 1925 Mussolini si presentò in Parlamento assumendosi tutte le responsabilità morali delle violenze perpetrate fino ad allora, mentre le opposizioni, divise, non intuirono il pericolo del fascismo, divenuto regime, lo storico Giuseppe Tamburrano, Presidente della Fondazione Pietro Nenni, ha detto: "Ma è grazie al re Vittorio Emanuele III, inerte, se il duce ottiene carta bianca....Il sovrano ha paura dei poteri forti, tutti dalla parte del duce, e teme che, osteggiando Mussolini, si finisca per scatenare una rivoluzione socialista".
Ricordiamo al Tamburrano e non solo a lui per la millesima volta, che in precedenza, il 16 novembre 1922 , l'esecutivo Mussolini ottenne dalla Camera 316 voti a favore, 116 contrari e 7 astenuti, votarono per lui esponenti liberali e popolari: Bonomi, De Gasperi, Giolitti, Gronchi, Meda, Orlando e Salandra. Il primo Governo Mussolini aveva al suo interno esponenti fascisti, popolari, nazionalisti, demo-sociali, salandriani e giolittiani, nonchè all'Istruzione il filosofo Giovanni Gentile e due eroi della Grande Guerra come il duca della Vittoria, Armando Diaz ed il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Non mi soffermo nel narrare le vicende che portarono al "collasso" del "vecchio" Stato liberale all'indomani della Prima Guerra Mondiale, vorrei solo puntualizzare alcuni punti! Qualche settimana dopo il voto di fiducia in Parlamento, Mussolini ottenne a larghissima maggioranza dalla Camera i pieni poteri in materia economica ed amministrativa con lo scopo di "ristabilire l'ordine" nel Paese percorso da scioperi e da violenze fasciste ed anti-fasciste, non solo, Mussolini incontrò anche Gino Baldesi leader della CGdL per pacificara le tensioni sociali venutesi a creare dal 1919 durante il "biennio rosso". Nel frattempo il 20 dicembre 1922, in un suo celebre discorso a Torino, don Luigi Sturzo, illustrando il programma del Partito Popolare, criticò violentemente lo Stato liberale e democratico! A sinistra intanto, dopo il velleitario tentativo di fusione tra PSI e PCd'I onde dar vita al "Partito comunista unificato d'Italia", per le divisioni interne che hanno sempre caratterizzato, purtroppo, la sinistra italiana, nell'aprile 1923 si aprirono i congressi dei Popolari e dei Socialisti. I primi con Sturzo, pur ammettendo che il Governo Mussolini potesse "portare del bene alla Patria" negò ogni forma di collaborazione con altri partiti politici, in primis proprio i Socialisti, al termine dei lavori i Popolari dichiararono nei confronti del Governo "una collaborazione condizionata, tattica e non ideologica..." Al contempo, al congresso socialista di Milano, vinse l'ala massimalista che negò ogni collaborazione con i comunisti. A fine aprile 1923 i Popolari uscirono dal Governo, pur confermando la loro volontà di collaborazione, subendo la scissione della corrente di Egilberto Martire. In questi mesi prese corpo il cambiamento del sistema elettorale in senso maggioritario, mentre don Sturzo si dichiarò contrario, Mussolini ricevendo De Gasperi, capo del gruppo parlamentare dei Popolari, ottenne da questi un atteggiamento più morbido non ricevendone un rifiuto a priori. Il disegno di legge sulla riforma elettorale venne presentato il 9 giugno seguente alla Camera per il dibattimento, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giacomo Acerbo. Esso prevedeva l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale, introducendo il premio di maggioranza: la lista che avrebbe ottenuto più voti si vedeva assegnare i 2/3 dei seggi (356), mentre i restanti 179 seggi sarebbero stati ripartiti su base proporzionale tra le liste rimaste. Don Sturzo rassegnò le dimissioni da segretario dei Popolari per le polemiche interne su questa legge, che vedeva la maggioranza del partito a favore con l'appoggio degli ambienti ecclesiastici. Il 21 luglio la Legge Acerbo venne approvata a scrutinio segreto con 223 voti a favore e 123 contrari. Mussolini in questo periodo continuò il dialogo con i sindacati "rossi" dichiarando di voler affidare un importante dicastero ai "rappresentanti diretti delle masse operaie organizzate". Il 19 ottobre un comunicato del Partito Liberale, rivendicò l'opera dei liberali a fianco di Mussolini confermando la fiducia nel Governo. Arturo Toscanini, responsabile del Teatro alla Scala di Milano, ottenne l'appoggio di Mussolini in merito a controversie interne al famoso teatro. Anche il Senato, il 14 novembre 1923 votò la legge Acerbo con 165 voti a favore e 41 contrari. Il 1924 si aprì con lo scioglimento della Camera in vista delle nuove elezioni e la pubblicazione del manifesto elettorale dei Popolari che abbandonarono la formula "nè opposizione nè collaborazione". Mussolini nominò un "Comitato Nazionale Elettorale" composto da 5 membri di provata fede fascista che avrebbe scelto i 356 candidati del "listone" del PNF, tra questi accetteranno di farne parte: Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando, Enrico De Nicola, ed i popolari Stefano Cavazzoni, Egilberto Martire e Paolo Mattei Gentili. Il 6 aprile si tennero le votazioni con il nuovo sistema elettorale e la maggioranza governativa ebbe il 64,9% dei voti validi (pari al 41% degli iscritti nelle liste elettorali), ottenendo i 356 deputati del premio di maggioranza e 19 seggi di liste filo-fasciste. Di questi 375 parlamentari, 275 erano iscritti al PNF; l'opposizione raccolse il 35,1% dei voti a 161 deputati. Il "listone" fascista ebbe i favori nell'Italia centrale e meridionale, ove i condizionamenti al voto furono certamente più diretti ed efficaci. In Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto le opposizioni ottennero 1.317.117 preferenze contro 1.194.829 voti andati alla maggioranza governativa.
In Parlamento si elevarono "alte" solo le voci dei deputati Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola, i quali denunciarono persistenti intimiditazioni e violenze nonchè irregolarità durante la campagna elettorale e nello svolgimento del voto. Il 7 giugno 1924 la Camera votò la fiducia al Governo Mussolini con 361 voti a favore e 107 contrari. Tre giorni dopo l'onorevole Matteotti venne rapito a Roma sul Lungotevere Arnaldo da Brescia da esponenti del fascismo oltranzista. Ciò causò un'ondata di proteste e preoccupazione in tutto il Paese, tanto che 4 ministri di Mussolini si dimisero per sollecitare il Presidente al Consiglio a quella "conciliazione nazionale" che lo stesso Mussolini aveva auspicato nel discorso durante la richiesta di fiducia! I gruppi parlamentari di opposizione si costituirono in un "comitato" nel quale confluirono popolari, demosociali, amendoliani, repubblicani, socialisti unitari e massimalisti ed i comunisti, quest'ultimi pochi giorni dopo, il 18 giugno ritornarono in Parlamento con i loro 19 deputati. Il giorno 27 i gruppi di opposizioni riunitisi a Montecitorio per commemorare Matteotti, decisero di non partecipare ai lavori della Camera fino alla costituzione di un governo democratico. In seguito il socialista Filippo Turati, per definire il significato soprattutto morale di questa presa di posizione, affermerà per analogia con la secessione dei plebei dell'antica Roma sull'Aventino, "che gli oppositori del fascismo si erano ritirati sull'Aventino delle loro coscienze".
Mussolini effettuò un rimpasto governativo nominando ministri dei liberali di destra, dei nazionalisti e degli ex popolari. Il 6 agosto, sul Corriere della Sera, apparve un articolo di Luigi Einaudi, intitolato "Il silenzio degli industriali", nel quale facendo chiaramente riferimento alla situazione creatasi dopo l'assassinio di Matteotti, accusò il mondo industriale italiano di "assistere disinteressato ed appartato agli eventi drammatici che stanno travagliando il Paese", sollevando una vivace polemica.
Il 12 agosto il Partito Popolare subì un'altra scissione con la nascita del "Centro Nazionale Italiano", accusando il gruppo dirigente di aver fatto causa comune con "socialisti e massoni".
Il 9 settembre 1924, Papa Pio XI, in un discorso agli universitari cattolici della FUCI, illustrò le linee guida dei cattolici in politica, condannando ogni forma di collaborazione con i socialisti anche in funzione antifascista, in poche parole il Vaticano sconfessò la politica dei Popolari all'interno del fronte aventiniano. In queste settimane i rappresentanti degli industriali italiani, tra i quali Gino Olivetti e Alberto Pirelli, domandarono, in un documento a Mussolini la normalizzazione democratica della vita politica nazionale, mentre il celebre Luigi Pirandello con un telegramma direttamente al Capo del Governo chiese la tessera del PNF.
Una proposta comunista di costituire un anti-parlamento in contrasto con la Camera a maggioranza fascista venne bocciata agli "aventiniani". Nonostante gli appelli sempre più pressanti, tra i quali quelli di Giovanni Amendola, per uscire dalla "impasse" dell'Aventino, alla luce anche del ritorno del gruppo comunista alla Camera, l'opposizione aventiniana ribadì la linea astensionistica chiedendo nuove elezioni. Il senatore Ettore Conti coadiuvato dal generale Gaetano Giardino, sollevò agli inizi di dicembre il malcontento degli ambienti industriali e delle Forze Armate per il "profondo disagio di coscienza" derivante dalla difficile situazione del Paese. L'ex nazionalista Raffaele Paolucci organizzò a Roma una riunione per sondare la possibilità di realizzare un accordo tra fascisti moderati, liberali, ex combattenti ed eventualmente deputati aventiniani, al fine di far cadere Mussolini e garantire un "ritorno alla normalità". Nessuna di queste iniziative prese corpo....
Si arrivò così al discorso del 3 gennaio 1925 di Mussolini alla Camera, ove dichiarò di assumersi "la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto", giudicando l'Aventino un "risveglio sovversivo", minacciando di scatenare quei gruppi del fascismo che da tempo premevano per superare con la violenza ogni forma di opposizione al regime fascista! Sulla rivista "Rinascita liberale" diretta da Armando Zanetti ed Adolfo Tino, promossa dal direttore del "Corsera" Luigi Albertini, le parole di Mussolini vennero definite come la "Caporetto del vecchio liberalismo parlamentare". L'unica dichiarazione delle opposizioni costituzionali in riferimento al discorso di Mussolini del 3 gennaio, fu la conferma della linea secessionista dell'Aventino e la presa di distanza morale dal Fascismo. Tutto qui....
Re Vittorio Emanuele III, il sovrano riformatore che ai primi del Novecento dopo l'assassinio del padre Umberto I, non volle decretare lo stato d'assedio, che favorì l'apertura politica ai socialisti riformisti, ed una politica sociale dei governi giolittiani, guidando moralmente e non solo, la resistenza sul Piave dopo la disfatta di Caporetto, il sovrano che nel 1922 volle evitare una guerra civile mentre il Paese era in balia di violenze infinite, chiamando a Roma l'uomo nuovo, l'uomo della Provvidenza, quel Mussolini che tutta la stampa internazionale ci invidiava, in questo cruciali periodo cosa faceva, cosa pensava?
Quella dei Savoia era una "monarchia rappresentativa", in virtù dello Statuto Albertino del 1848, come afferma l'insigne storico Prof. Aldo A.Mola, Presidente della Consulta dei Senatori del Regno, il sovrano non era superiore alle leggi: controfirmava le leggi decretate dai poteri legittimi, governo e parlamento. Nell'Italia del 1924 ove i parlamentari fascisti erano minoranza, doveva essere la Camera a delegittimare Mussolini non il sovrano! Mussolini ebbe il sopravvento non tanto per le violenze delle sue "squadracce" bensì per la debolezza dei politici, per le loro divisioni meschine, per un idealismo incapace di organizzare una vera, forte, opposizione al fascismo. Invano il sovrano chiese ai 124 esponenti dell'Aventino guidati da Giovanni Amendola, durante un'udienza, un atto parlamentare che gli consentisse di allontanare, rispettando lo Statuto, Mussolini dal potere. Non ebbe nulla! Fu costretto ad aspettare il 25 luglio 1943 con l'ordine del giorno Grandi, ma questa è un'altra storia.....
Il nostro rispetto a coloro che veramente, non con le "chiacchiere", ma con i fatti si opposero al fascismo pagando con la vita: don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, Gobetti ecc. Caro professor Tamburrano così sono andati i fatti.


Il Direttore Giuseppe Polito
Biblioteca Storica Regina Margherita Pietramelara - CE
U.M.I.

Repubblica, la vittoria truccata





di Luciano Garibaldi

Compie 60 anni il referendum monarchia-repubblica. Un avvenimento della storia italiana sul quale persistono seri dubbi. Molte le schede dei votanti mai aperte e ritrovate nelle cantine del Viminale. Le pressioni di Togliatti perché fosse proclamata la vittoria della repubblica.

[Da "il Timone" n. 52, aprile 2006]

La mattina del 2 giugno 1946 gli italiani si recarono alle urne (per la prima volta votavano anche le donne) per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente e per partecipare al referendum che avrebbe dovuto decidere la forma dello Stato.
I seggi rimasero aperti fino al pomeriggio del 3 giugno.
Chi vinse? La monarchia o la repubblica? Ancora oggi, a 60 anni di distanza, c’è chi mette in discussione il risultato di quella consultazione.
Cercheremo di ricostruire i fatti con obiettività, inquadrandoli nella realtà politica italiana del tempo.

Umberto II era divenuto re d’Italia il 9 maggio di quell’anno, a seguito dell’abdicazione di Vittorio Emanuele III seguita dalla sua partenza per l’esilio ad Alessandria d’Egitto. Nettamente contrari alla monarchia erano il Partito comunista, il PSIUP (partito socialista di unità proletaria), il sindacato ancora unitario (CGIL), il Partito d’Azione, il Partito repubblicano. Per la libertà d’azione i liberali e la Democrazia Cristiana. Favorevole al re solo il piccolo PDI (Partito democratico italiano), le formazioni partigiane monarchiche (tra i loro massimi esponenti, le medaglie d’oro al valor militare Edgardo Sogno ed Enrico Martini «Mauri»), e - sia pure in modo non dichiarato - le Forze Armate, che si erano battute a fianco degli Alleati per fedeltà al giuramento prestato alla monarchia, e l’Arma dei Carabinieri. Ma non la polizia, largamente infiltrata da elementi ex partigiani comunisti. E non certo i superstiti del fascismo della Repubblica Sociale Italiana che, anzi, odiavano a morte il re e Badoglio. Assolutamente imparziale la Chiesa, che evitò sempre e comunque qualsiasi presa di posizione.
A Roma, i canali d’informazione sui risultati erano due. Uno, proveniente dalle prefetture, faceva capo al ministro dell’Interno, il socialista Giuseppe Romita. L’altro, proveniente dalle 31 circoscrizioni elettorali, confluiva verso il ministero della Giustizia di via Arenula, retto dal capo del Partito comunista Palmiro Togliatti, e da qui alla Suprema Corte di Cassazione, presieduta da Giuseppe Pagano, che aveva il compito di sommare i voti e proclamare il risultato finale.
Chiuse le urne, furono dapprima scrutinate le schede per la formazione dell’Assemblea Costituente, poi si passò a quelle referendarie.
Alle ore 8 del 4 giugno il ministro dell’Interno Romita redige un primo prospetto dei risultati e lo porta al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il prospetto riguarda 4000 sezioni su 35.000, tutte localizzate nel Centro Nord, tendenzialmente «repubblicano», e attribuisce alla repubblica una maggioranza del 65 per cento. Decisamente poco, se si considera che gli italiani del Sud e delle Isole sono nella stragrande maggioranza monarchici. De Gasperi, che personalmente è per la repubblica, vede nero e quella sera stessa informa il ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, che si profila assai probabilmente la vittoria della monarchia. Il mondo politico romano entra in fibrillazione. Massimo Caprara, all’epoca segretario personale di Togliatti, ha ricordato, in un articolo pubblicato su Nuova Storia Contemporanea (n. 6 del 2002), che fu lui stesso a «passare» a Togliatti la telefonata di un Romita disperato. I risultati continuavano ad affluire al Viminale, questa volta anche dalle prefetture del Sud, e, al momento della telefonata, nel pomeriggio inoltrato del 4 giugno, la monarchia era ormai al 54 %. Fu a quel punto che Togliatti decise di agire direttamente sui funzionari del suo ministero addetti alle circoscrizioni delegando loro una «autonoma gestione dei voti», da comunicare alla Cassazione «al di fuori di ogni controllo». Se le parole hanno un senso: fate vincere la repubblica a tutti i costi.
Da un punto di vista storico, la cosa è del tutto logica: i funzionari erano infatti tutti uomini di fiducia del Guardasigilli, e quindi del PCI.
È a questo punto che, nella tarda mattinata del 5 giugno, De Gasperi va al Quirinale e informa personalmente il re Umberto II, affinché possa regolarsi, che la repubblica ha vinto. Umberto dispone immediatamente che la regina Maria José e i figli s’imbarchino per il Portogallo sull’incrociatore «Duca degli Abruzzi», lo stesso che ha trasportato Vittorio Emanuele III, dopo l’abdicazione, ad Alessandria d’Egitto.
Frattanto la stampa diffonde la notizia della probabile vittoria della monarchia e nel frattempo raccoglie le dichiarazioni polemiche e critiche dei sostenitori di re Umberto. Da sinistra si risponde per le rime. Pietro Nenni sull’«Avanti!»: «O la repubblica o il caos!».

Gli occhi di tutti erano puntati sulla Cassazione, cui toccava il compito di dichiarare ufficialmente chi aveva vinto e chi aveva perso. E fu sul tavolo della Cassazione che tempestivamente, prima del computo finale, l’onorevole Enzo Selvaggi, monarchico del Partito Democratico Italiano, fece recapitare un ricorso nel quale metteva in guardia i giudici: attenti, quello che conta è il numero dei votanti e non quello dei voti validi. Si riferiva, Selvaggi, subito seguito dall’onorevole Giovanni Cassandro, all’articolo 2 della legge 16 marzo 1946, istitutiva del referendum. L’articolo disponeva che avrebbe vinto la forma istituzionale (monarchia o repubblica) che fosse stata indicata «dalla maggioranza dei votanti» e non «dalla maggioranza dei voti validi», principio al quale invece, fino a quel momento, prefetture e funzionari di via Arenula si erano attenuti per il computo dei voti. Infatti, le rilevazioni erano state fatte soltanto sui voti giudicati validi.
Delle schede giudicate non valide (bianche, sporche o dubbie) non era stato fatto neppure il computo.
Poche ore dopo, sul tavolo della Cassazione giungeva un secondo ricorso, firmato dalla Medaglia d’Oro della Resistenza Edgardo Sogno, che chiedeva l’invalidazione del referendum essendo stati esclusi dal voto i residenti nella provincia di Bolzano e nella Venezia Giulia. Fu a questo punto che al primo presidente della Cassazione, Giuseppe Pagano, giunse una lettera di Togliatti che - come nota Franco Malnati nella sua opera La grande frode - forte del suo potere disciplinare sulla magistratura, gli ordinava di limitarsi alla lettura delle cifre dei verbali di ognuna delle 31 circoscrizioni elettorali e alla sommatoria complessiva «omettendo qualsiasi ulteriore pronuncia»: chiara infrazione - nota Malnati - della legge che invece prevedeva, da parte della Cassazione, «la proclamazione del risultato del referendum».
Lunedì 10 giugno, nella Sala Lupa di Montecitorio, il presidente Pagano comunica i risultati raggiunti: 12.672.767 voti per la repubblica, 10.688.905 per la monarchia. Mancano 118 sezioni (che comunque, data la loro esiguità numerica, non modificheranno nulla), ragione per la quale si rinvia la comunicazione definitiva ad una successiva seduta fissata per il giorno 18.
Martedì 11 giugno: gravissimi disordini a Napoli. La polizia apre il fuoco su un corteo monarchico. Nove morti. Disordini anche a Bari e a Taranto. Tutto il Sud, profondamente monarchico, è in subbuglio.
Mercoledì 12 giugno: Consiglio dei ministri in un clima di fortissima tensione. Togliatti, anche in seguito alle migliaia di denunce per brogli che continuano a piovere a cura dell’UMI (Unione Monarchica Italiana), dice testualmente: «Vi sono ricorsi che possono anche richiedere l’esame delle schede che tra l’altro non sono qui e forse sono distrutte» (lo ricorda Aldo Mola nel suo Storia della monarchia in Italia). In effetti, «sacchi e pacchi di verbali saranno poi rinvenuti nei luoghi più disparati» (ibidem).
Il 21 febbraio 2002, una giornalista del quotidiano Libero intervistò anche il padre gesuita Giuseppe Brunetta, il quale confermò le perplessità sulla legittimità dello spoglio e testimoniò che nelle cantine del Viminale egli stesso aveva visto le casse con le schede mai aperte.

Giovedì 13 giugno, ore 0,15: al termine della seduta, De Gasperi, in accordo con tutti i ministri eccettuato Leone Cattani, dichiarò di assumere i poteri di capo provvisorio dello Stato. Umberto II, subito informato, decise che sarebbe partito in aereo quel giorno stesso, alle ore 15, per l’esilio in Portogallo.

MA PER UMBERTO II FU UN COLPO DI STATO

Dal messaggio di Umberto II agli italiani, consegnato alla satampa al momento della partenza per l'esilio: «Questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza. Proclamo pertanto lo scioglimento del giuramento di feeltà al Re, non a quello verso verso la Patria, di coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove».
Umberto II morì a Ginevra il 24 marzo 1983. Suo padre Vittorio Emanuele III era morto ad Alessandria d'Egitto il 28 dicembre 1947.

Bibliografia

Aldo Alessandro Mola, Storia della monarchia in Italia, Bompiani, 2002.
Franco Malnati, La grande frode. Come l'Italia fu fatta Repubblica, Bastogi, 1997.

© Il Timone

lunedì 9 giugno 2008

E Fini sfoggia la croce dei Templari


Il simbolo più odiato dall'Islam

E Fini sfoggia la croce dei Templari

La spilla regalata da un collega di partito: ne è rimasto subito attratto. Il leader di An: «Non ho il dono della fede»

MILANO — L'ha sfoggiata a Porta a Porta ea Ballarò, ma difficilmente potrebbe appuntarsela al bavero in qualche vertice internazionale o in un paese islamico. La spilletta che Gianfranco Fini porta sulla sua giacca da domenica è il simbolo dei Templari, cavalieri di Cristo in Terra Santa contro i musulmani. Lo stesso simbolo che, dopo la protesta dei turchi alla Uefa, da ieri il Barça ha dovuto togliere dalle maglie e che è stato contestato anche all'Inter, per quanto in questo caso si tratti del simbolo di Milano e non della croce dei Templari. Quella spilla sulla giacca di Fini — una croce rossa come il sangue di Cristo, che termina con quattro punte a coda di rondine su uno sfondo bianco — l'ha notata Marcello Veneziani. Che, collegandola alla recente dichiarazione del leader di An — «Non ho il dono della fede» —, si è interrogato su Libero sul «mistero di quel segno distintivo in un laico e non credente confesso: sarà una nuova specie di ateo devoto». Specie cara a Giuliano Ferrara ma non a Veneziani: «Tra tanti leader di sinistra che scoprono ascendenze o discendenze cristiane, tra Veltroni e D'Alema, Bertinotti e Fassino», la destra non può «finire in una loggia o in un lions club, con tutto il rispetto». Veneziani ricorda a Fini «che il maggior intellettuale vivente della destra è oggi un tale Ratzinger e di mestiere fa il papa».

Memento forse non indispensabile per Fini che da anni è uno dei più strenui difensori dei valori religiosi e tradizionali. Non è un mistero, per esempio, la sua netta contrarietà all'aborto. A difendere la spiritualità di Fini c'è anche la testimonianza di Bartolo Sammartino, ex vicesindaco di Palermo ed ex deputato regionale siciliano: «Quella spilla — spiega — era mia. Me la vedeva addosso da dieci anni e domenica mi ha chiesto di regalargliela. Evidentemente da tempo subiva l'attrazione di questo simbolo. E dunque non è certo un caso che ora abbia deciso di indossarla: è una precisa scelta di comunicazione di valori». Non che Fini sia diventato improvvisamente un templare, né che lo sia il giovane Sammartino, presidente dell'Accademia nazionale della politica, associazione nata dalle esperienze di «Alleanza etica », come racconta il presidente di Trapani Giuseppe Fragapani: «La croce è una sfida al materialismo e al nichilismo, un richiamo ai valori cristiani e cattolici». «Si è perso ogni orizzonte metafisico — aggiunge Sammartino — si è perso il senso del sacro. I templari, monaci e guerrieri, univano virtù civili e religiosi». Niente a che vedere «con quelle fesserie alla Dan Brown», spiega. Né con la massoneria: «È antitetica». E nessuna offesa all'Islam: «Anzi: i templari erano accusati di intelligenza con il nemico. Un famoso quadro ritrae un templare che gioca a scacchi con un musulmano».

Fonte -Corriere della Sera, articolo di Alessandro Trocino, 16 dicembre 2007 & I Nostri Avi Forum