In queste settimane è in edicola in dvd la ristampa della "Storia del Fascismo" edizioni RAI-TRADE ad Euro 9,99 da acquistare singolarmente o con alcuni quotidiani tra i quali il Corriere della Sera. Bene sul settimanale del Corsera, "Magazine", commentando il terzo fascicolo (La sconfitta delle opposizioni e la costituzione dello stato autoritario 1925-26), laddove il 3 gennaio 1925 Mussolini si presentò in Parlamento assumendosi tutte le responsabilità morali delle violenze perpetrate fino ad allora, mentre le opposizioni, divise, non intuirono il pericolo del fascismo, divenuto regime, lo storico Giuseppe Tamburrano, Presidente della Fondazione Pietro Nenni, ha detto: "Ma è grazie al re Vittorio Emanuele III, inerte, se il duce ottiene carta bianca....Il sovrano ha paura dei poteri forti, tutti dalla parte del duce, e teme che, osteggiando Mussolini, si finisca per scatenare una rivoluzione socialista".
Ricordiamo al Tamburrano e non solo a lui per la millesima volta, che in precedenza, il 16 novembre 1922 , l'esecutivo Mussolini ottenne dalla Camera 316 voti a favore, 116 contrari e 7 astenuti, votarono per lui esponenti liberali e popolari: Bonomi, De Gasperi, Giolitti, Gronchi, Meda, Orlando e Salandra. Il primo Governo Mussolini aveva al suo interno esponenti fascisti, popolari, nazionalisti, demo-sociali, salandriani e giolittiani, nonchè all'Istruzione il filosofo Giovanni Gentile e due eroi della Grande Guerra come il duca della Vittoria, Armando Diaz ed il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Non mi soffermo nel narrare le vicende che portarono al "collasso" del "vecchio" Stato liberale all'indomani della Prima Guerra Mondiale, vorrei solo puntualizzare alcuni punti! Qualche settimana dopo il voto di fiducia in Parlamento, Mussolini ottenne a larghissima maggioranza dalla Camera i pieni poteri in materia economica ed amministrativa con lo scopo di "ristabilire l'ordine" nel Paese percorso da scioperi e da violenze fasciste ed anti-fasciste, non solo, Mussolini incontrò anche Gino Baldesi leader della CGdL per pacificara le tensioni sociali venutesi a creare dal 1919 durante il "biennio rosso". Nel frattempo il 20 dicembre 1922, in un suo celebre discorso a Torino, don Luigi Sturzo, illustrando il programma del Partito Popolare, criticò violentemente lo Stato liberale e democratico! A sinistra intanto, dopo il velleitario tentativo di fusione tra PSI e PCd'I onde dar vita al "Partito comunista unificato d'Italia", per le divisioni interne che hanno sempre caratterizzato, purtroppo, la sinistra italiana, nell'aprile 1923 si aprirono i congressi dei Popolari e dei Socialisti. I primi con Sturzo, pur ammettendo che il Governo Mussolini potesse "portare del bene alla Patria" negò ogni forma di collaborazione con altri partiti politici, in primis proprio i Socialisti, al termine dei lavori i Popolari dichiararono nei confronti del Governo "una collaborazione condizionata, tattica e non ideologica..." Al contempo, al congresso socialista di Milano, vinse l'ala massimalista che negò ogni collaborazione con i comunisti. A fine aprile 1923 i Popolari uscirono dal Governo, pur confermando la loro volontà di collaborazione, subendo la scissione della corrente di Egilberto Martire. In questi mesi prese corpo il cambiamento del sistema elettorale in senso maggioritario, mentre don Sturzo si dichiarò contrario, Mussolini ricevendo De Gasperi, capo del gruppo parlamentare dei Popolari, ottenne da questi un atteggiamento più morbido non ricevendone un rifiuto a priori. Il disegno di legge sulla riforma elettorale venne presentato il 9 giugno seguente alla Camera per il dibattimento, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giacomo Acerbo. Esso prevedeva l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale, introducendo il premio di maggioranza: la lista che avrebbe ottenuto più voti si vedeva assegnare i 2/3 dei seggi (356), mentre i restanti 179 seggi sarebbero stati ripartiti su base proporzionale tra le liste rimaste. Don Sturzo rassegnò le dimissioni da segretario dei Popolari per le polemiche interne su questa legge, che vedeva la maggioranza del partito a favore con l'appoggio degli ambienti ecclesiastici. Il 21 luglio la Legge Acerbo venne approvata a scrutinio segreto con 223 voti a favore e 123 contrari. Mussolini in questo periodo continuò il dialogo con i sindacati "rossi" dichiarando di voler affidare un importante dicastero ai "rappresentanti diretti delle masse operaie organizzate". Il 19 ottobre un comunicato del Partito Liberale, rivendicò l'opera dei liberali a fianco di Mussolini confermando la fiducia nel Governo. Arturo Toscanini, responsabile del Teatro alla Scala di Milano, ottenne l'appoggio di Mussolini in merito a controversie interne al famoso teatro. Anche il Senato, il 14 novembre 1923 votò la legge Acerbo con 165 voti a favore e 41 contrari. Il 1924 si aprì con lo scioglimento della Camera in vista delle nuove elezioni e la pubblicazione del manifesto elettorale dei Popolari che abbandonarono la formula "nè opposizione nè collaborazione". Mussolini nominò un "Comitato Nazionale Elettorale" composto da 5 membri di provata fede fascista che avrebbe scelto i 356 candidati del "listone" del PNF, tra questi accetteranno di farne parte: Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando, Enrico De Nicola, ed i popolari Stefano Cavazzoni, Egilberto Martire e Paolo Mattei Gentili. Il 6 aprile si tennero le votazioni con il nuovo sistema elettorale e la maggioranza governativa ebbe il 64,9% dei voti validi (pari al 41% degli iscritti nelle liste elettorali), ottenendo i 356 deputati del premio di maggioranza e 19 seggi di liste filo-fasciste. Di questi 375 parlamentari, 275 erano iscritti al PNF; l'opposizione raccolse il 35,1% dei voti a 161 deputati. Il "listone" fascista ebbe i favori nell'Italia centrale e meridionale, ove i condizionamenti al voto furono certamente più diretti ed efficaci. In Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto le opposizioni ottennero 1.317.117 preferenze contro 1.194.829 voti andati alla maggioranza governativa.
In Parlamento si elevarono "alte" solo le voci dei deputati Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola, i quali denunciarono persistenti intimiditazioni e violenze nonchè irregolarità durante la campagna elettorale e nello svolgimento del voto. Il 7 giugno 1924 la Camera votò la fiducia al Governo Mussolini con 361 voti a favore e 107 contrari. Tre giorni dopo l'onorevole Matteotti venne rapito a Roma sul Lungotevere Arnaldo da Brescia da esponenti del fascismo oltranzista. Ciò causò un'ondata di proteste e preoccupazione in tutto il Paese, tanto che 4 ministri di Mussolini si dimisero per sollecitare il Presidente al Consiglio a quella "conciliazione nazionale" che lo stesso Mussolini aveva auspicato nel discorso durante la richiesta di fiducia! I gruppi parlamentari di opposizione si costituirono in un "comitato" nel quale confluirono popolari, demosociali, amendoliani, repubblicani, socialisti unitari e massimalisti ed i comunisti, quest'ultimi pochi giorni dopo, il 18 giugno ritornarono in Parlamento con i loro 19 deputati. Il giorno 27 i gruppi di opposizioni riunitisi a Montecitorio per commemorare Matteotti, decisero di non partecipare ai lavori della Camera fino alla costituzione di un governo democratico. In seguito il socialista Filippo Turati, per definire il significato soprattutto morale di questa presa di posizione, affermerà per analogia con la secessione dei plebei dell'antica Roma sull'Aventino, "che gli oppositori del fascismo si erano ritirati sull'Aventino delle loro coscienze".
Mussolini effettuò un rimpasto governativo nominando ministri dei liberali di destra, dei nazionalisti e degli ex popolari. Il 6 agosto, sul Corriere della Sera, apparve un articolo di Luigi Einaudi, intitolato "Il silenzio degli industriali", nel quale facendo chiaramente riferimento alla situazione creatasi dopo l'assassinio di Matteotti, accusò il mondo industriale italiano di "assistere disinteressato ed appartato agli eventi drammatici che stanno travagliando il Paese", sollevando una vivace polemica.
Il 12 agosto il Partito Popolare subì un'altra scissione con la nascita del "Centro Nazionale Italiano", accusando il gruppo dirigente di aver fatto causa comune con "socialisti e massoni".
Il 9 settembre 1924, Papa Pio XI, in un discorso agli universitari cattolici della FUCI, illustrò le linee guida dei cattolici in politica, condannando ogni forma di collaborazione con i socialisti anche in funzione antifascista, in poche parole il Vaticano sconfessò la politica dei Popolari all'interno del fronte aventiniano. In queste settimane i rappresentanti degli industriali italiani, tra i quali Gino Olivetti e Alberto Pirelli, domandarono, in un documento a Mussolini la normalizzazione democratica della vita politica nazionale, mentre il celebre Luigi Pirandello con un telegramma direttamente al Capo del Governo chiese la tessera del PNF.
Una proposta comunista di costituire un anti-parlamento in contrasto con la Camera a maggioranza fascista venne bocciata agli "aventiniani". Nonostante gli appelli sempre più pressanti, tra i quali quelli di Giovanni Amendola, per uscire dalla "impasse" dell'Aventino, alla luce anche del ritorno del gruppo comunista alla Camera, l'opposizione aventiniana ribadì la linea astensionistica chiedendo nuove elezioni. Il senatore Ettore Conti coadiuvato dal generale Gaetano Giardino, sollevò agli inizi di dicembre il malcontento degli ambienti industriali e delle Forze Armate per il "profondo disagio di coscienza" derivante dalla difficile situazione del Paese. L'ex nazionalista Raffaele Paolucci organizzò a Roma una riunione per sondare la possibilità di realizzare un accordo tra fascisti moderati, liberali, ex combattenti ed eventualmente deputati aventiniani, al fine di far cadere Mussolini e garantire un "ritorno alla normalità". Nessuna di queste iniziative prese corpo....
Si arrivò così al discorso del 3 gennaio 1925 di Mussolini alla Camera, ove dichiarò di assumersi "la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto", giudicando l'Aventino un "risveglio sovversivo", minacciando di scatenare quei gruppi del fascismo che da tempo premevano per superare con la violenza ogni forma di opposizione al regime fascista! Sulla rivista "Rinascita liberale" diretta da Armando Zanetti ed Adolfo Tino, promossa dal direttore del "Corsera" Luigi Albertini, le parole di Mussolini vennero definite come la "Caporetto del vecchio liberalismo parlamentare". L'unica dichiarazione delle opposizioni costituzionali in riferimento al discorso di Mussolini del 3 gennaio, fu la conferma della linea secessionista dell'Aventino e la presa di distanza morale dal Fascismo. Tutto qui....
Re Vittorio Emanuele III, il sovrano riformatore che ai primi del Novecento dopo l'assassinio del padre Umberto I, non volle decretare lo stato d'assedio, che favorì l'apertura politica ai socialisti riformisti, ed una politica sociale dei governi giolittiani, guidando moralmente e non solo, la resistenza sul Piave dopo la disfatta di Caporetto, il sovrano che nel 1922 volle evitare una guerra civile mentre il Paese era in balia di violenze infinite, chiamando a Roma l'uomo nuovo, l'uomo della Provvidenza, quel Mussolini che tutta la stampa internazionale ci invidiava, in questo cruciali periodo cosa faceva, cosa pensava?
Quella dei Savoia era una "monarchia rappresentativa", in virtù dello Statuto Albertino del 1848, come afferma l'insigne storico Prof. Aldo A.Mola, Presidente della Consulta dei Senatori del Regno, il sovrano non era superiore alle leggi: controfirmava le leggi decretate dai poteri legittimi, governo e parlamento. Nell'Italia del 1924 ove i parlamentari fascisti erano minoranza, doveva essere la Camera a delegittimare Mussolini non il sovrano! Mussolini ebbe il sopravvento non tanto per le violenze delle sue "squadracce" bensì per la debolezza dei politici, per le loro divisioni meschine, per un idealismo incapace di organizzare una vera, forte, opposizione al fascismo. Invano il sovrano chiese ai 124 esponenti dell'Aventino guidati da Giovanni Amendola, durante un'udienza, un atto parlamentare che gli consentisse di allontanare, rispettando lo Statuto, Mussolini dal potere. Non ebbe nulla! Fu costretto ad aspettare il 25 luglio 1943 con l'ordine del giorno Grandi, ma questa è un'altra storia.....
Il nostro rispetto a coloro che veramente, non con le "chiacchiere", ma con i fatti si opposero al fascismo pagando con la vita: don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, Gobetti ecc. Caro professor Tamburrano così sono andati i fatti.
Il Direttore Giuseppe Polito
Biblioteca Storica Regina Margherita Pietramelara - CE
U.M.I.
Ricordiamo al Tamburrano e non solo a lui per la millesima volta, che in precedenza, il 16 novembre 1922 , l'esecutivo Mussolini ottenne dalla Camera 316 voti a favore, 116 contrari e 7 astenuti, votarono per lui esponenti liberali e popolari: Bonomi, De Gasperi, Giolitti, Gronchi, Meda, Orlando e Salandra. Il primo Governo Mussolini aveva al suo interno esponenti fascisti, popolari, nazionalisti, demo-sociali, salandriani e giolittiani, nonchè all'Istruzione il filosofo Giovanni Gentile e due eroi della Grande Guerra come il duca della Vittoria, Armando Diaz ed il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Non mi soffermo nel narrare le vicende che portarono al "collasso" del "vecchio" Stato liberale all'indomani della Prima Guerra Mondiale, vorrei solo puntualizzare alcuni punti! Qualche settimana dopo il voto di fiducia in Parlamento, Mussolini ottenne a larghissima maggioranza dalla Camera i pieni poteri in materia economica ed amministrativa con lo scopo di "ristabilire l'ordine" nel Paese percorso da scioperi e da violenze fasciste ed anti-fasciste, non solo, Mussolini incontrò anche Gino Baldesi leader della CGdL per pacificara le tensioni sociali venutesi a creare dal 1919 durante il "biennio rosso". Nel frattempo il 20 dicembre 1922, in un suo celebre discorso a Torino, don Luigi Sturzo, illustrando il programma del Partito Popolare, criticò violentemente lo Stato liberale e democratico! A sinistra intanto, dopo il velleitario tentativo di fusione tra PSI e PCd'I onde dar vita al "Partito comunista unificato d'Italia", per le divisioni interne che hanno sempre caratterizzato, purtroppo, la sinistra italiana, nell'aprile 1923 si aprirono i congressi dei Popolari e dei Socialisti. I primi con Sturzo, pur ammettendo che il Governo Mussolini potesse "portare del bene alla Patria" negò ogni forma di collaborazione con altri partiti politici, in primis proprio i Socialisti, al termine dei lavori i Popolari dichiararono nei confronti del Governo "una collaborazione condizionata, tattica e non ideologica..." Al contempo, al congresso socialista di Milano, vinse l'ala massimalista che negò ogni collaborazione con i comunisti. A fine aprile 1923 i Popolari uscirono dal Governo, pur confermando la loro volontà di collaborazione, subendo la scissione della corrente di Egilberto Martire. In questi mesi prese corpo il cambiamento del sistema elettorale in senso maggioritario, mentre don Sturzo si dichiarò contrario, Mussolini ricevendo De Gasperi, capo del gruppo parlamentare dei Popolari, ottenne da questi un atteggiamento più morbido non ricevendone un rifiuto a priori. Il disegno di legge sulla riforma elettorale venne presentato il 9 giugno seguente alla Camera per il dibattimento, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giacomo Acerbo. Esso prevedeva l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale, introducendo il premio di maggioranza: la lista che avrebbe ottenuto più voti si vedeva assegnare i 2/3 dei seggi (356), mentre i restanti 179 seggi sarebbero stati ripartiti su base proporzionale tra le liste rimaste. Don Sturzo rassegnò le dimissioni da segretario dei Popolari per le polemiche interne su questa legge, che vedeva la maggioranza del partito a favore con l'appoggio degli ambienti ecclesiastici. Il 21 luglio la Legge Acerbo venne approvata a scrutinio segreto con 223 voti a favore e 123 contrari. Mussolini in questo periodo continuò il dialogo con i sindacati "rossi" dichiarando di voler affidare un importante dicastero ai "rappresentanti diretti delle masse operaie organizzate". Il 19 ottobre un comunicato del Partito Liberale, rivendicò l'opera dei liberali a fianco di Mussolini confermando la fiducia nel Governo. Arturo Toscanini, responsabile del Teatro alla Scala di Milano, ottenne l'appoggio di Mussolini in merito a controversie interne al famoso teatro. Anche il Senato, il 14 novembre 1923 votò la legge Acerbo con 165 voti a favore e 41 contrari. Il 1924 si aprì con lo scioglimento della Camera in vista delle nuove elezioni e la pubblicazione del manifesto elettorale dei Popolari che abbandonarono la formula "nè opposizione nè collaborazione". Mussolini nominò un "Comitato Nazionale Elettorale" composto da 5 membri di provata fede fascista che avrebbe scelto i 356 candidati del "listone" del PNF, tra questi accetteranno di farne parte: Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando, Enrico De Nicola, ed i popolari Stefano Cavazzoni, Egilberto Martire e Paolo Mattei Gentili. Il 6 aprile si tennero le votazioni con il nuovo sistema elettorale e la maggioranza governativa ebbe il 64,9% dei voti validi (pari al 41% degli iscritti nelle liste elettorali), ottenendo i 356 deputati del premio di maggioranza e 19 seggi di liste filo-fasciste. Di questi 375 parlamentari, 275 erano iscritti al PNF; l'opposizione raccolse il 35,1% dei voti a 161 deputati. Il "listone" fascista ebbe i favori nell'Italia centrale e meridionale, ove i condizionamenti al voto furono certamente più diretti ed efficaci. In Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto le opposizioni ottennero 1.317.117 preferenze contro 1.194.829 voti andati alla maggioranza governativa.
In Parlamento si elevarono "alte" solo le voci dei deputati Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola, i quali denunciarono persistenti intimiditazioni e violenze nonchè irregolarità durante la campagna elettorale e nello svolgimento del voto. Il 7 giugno 1924 la Camera votò la fiducia al Governo Mussolini con 361 voti a favore e 107 contrari. Tre giorni dopo l'onorevole Matteotti venne rapito a Roma sul Lungotevere Arnaldo da Brescia da esponenti del fascismo oltranzista. Ciò causò un'ondata di proteste e preoccupazione in tutto il Paese, tanto che 4 ministri di Mussolini si dimisero per sollecitare il Presidente al Consiglio a quella "conciliazione nazionale" che lo stesso Mussolini aveva auspicato nel discorso durante la richiesta di fiducia! I gruppi parlamentari di opposizione si costituirono in un "comitato" nel quale confluirono popolari, demosociali, amendoliani, repubblicani, socialisti unitari e massimalisti ed i comunisti, quest'ultimi pochi giorni dopo, il 18 giugno ritornarono in Parlamento con i loro 19 deputati. Il giorno 27 i gruppi di opposizioni riunitisi a Montecitorio per commemorare Matteotti, decisero di non partecipare ai lavori della Camera fino alla costituzione di un governo democratico. In seguito il socialista Filippo Turati, per definire il significato soprattutto morale di questa presa di posizione, affermerà per analogia con la secessione dei plebei dell'antica Roma sull'Aventino, "che gli oppositori del fascismo si erano ritirati sull'Aventino delle loro coscienze".
Mussolini effettuò un rimpasto governativo nominando ministri dei liberali di destra, dei nazionalisti e degli ex popolari. Il 6 agosto, sul Corriere della Sera, apparve un articolo di Luigi Einaudi, intitolato "Il silenzio degli industriali", nel quale facendo chiaramente riferimento alla situazione creatasi dopo l'assassinio di Matteotti, accusò il mondo industriale italiano di "assistere disinteressato ed appartato agli eventi drammatici che stanno travagliando il Paese", sollevando una vivace polemica.
Il 12 agosto il Partito Popolare subì un'altra scissione con la nascita del "Centro Nazionale Italiano", accusando il gruppo dirigente di aver fatto causa comune con "socialisti e massoni".
Il 9 settembre 1924, Papa Pio XI, in un discorso agli universitari cattolici della FUCI, illustrò le linee guida dei cattolici in politica, condannando ogni forma di collaborazione con i socialisti anche in funzione antifascista, in poche parole il Vaticano sconfessò la politica dei Popolari all'interno del fronte aventiniano. In queste settimane i rappresentanti degli industriali italiani, tra i quali Gino Olivetti e Alberto Pirelli, domandarono, in un documento a Mussolini la normalizzazione democratica della vita politica nazionale, mentre il celebre Luigi Pirandello con un telegramma direttamente al Capo del Governo chiese la tessera del PNF.
Una proposta comunista di costituire un anti-parlamento in contrasto con la Camera a maggioranza fascista venne bocciata agli "aventiniani". Nonostante gli appelli sempre più pressanti, tra i quali quelli di Giovanni Amendola, per uscire dalla "impasse" dell'Aventino, alla luce anche del ritorno del gruppo comunista alla Camera, l'opposizione aventiniana ribadì la linea astensionistica chiedendo nuove elezioni. Il senatore Ettore Conti coadiuvato dal generale Gaetano Giardino, sollevò agli inizi di dicembre il malcontento degli ambienti industriali e delle Forze Armate per il "profondo disagio di coscienza" derivante dalla difficile situazione del Paese. L'ex nazionalista Raffaele Paolucci organizzò a Roma una riunione per sondare la possibilità di realizzare un accordo tra fascisti moderati, liberali, ex combattenti ed eventualmente deputati aventiniani, al fine di far cadere Mussolini e garantire un "ritorno alla normalità". Nessuna di queste iniziative prese corpo....
Si arrivò così al discorso del 3 gennaio 1925 di Mussolini alla Camera, ove dichiarò di assumersi "la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto", giudicando l'Aventino un "risveglio sovversivo", minacciando di scatenare quei gruppi del fascismo che da tempo premevano per superare con la violenza ogni forma di opposizione al regime fascista! Sulla rivista "Rinascita liberale" diretta da Armando Zanetti ed Adolfo Tino, promossa dal direttore del "Corsera" Luigi Albertini, le parole di Mussolini vennero definite come la "Caporetto del vecchio liberalismo parlamentare". L'unica dichiarazione delle opposizioni costituzionali in riferimento al discorso di Mussolini del 3 gennaio, fu la conferma della linea secessionista dell'Aventino e la presa di distanza morale dal Fascismo. Tutto qui....
Re Vittorio Emanuele III, il sovrano riformatore che ai primi del Novecento dopo l'assassinio del padre Umberto I, non volle decretare lo stato d'assedio, che favorì l'apertura politica ai socialisti riformisti, ed una politica sociale dei governi giolittiani, guidando moralmente e non solo, la resistenza sul Piave dopo la disfatta di Caporetto, il sovrano che nel 1922 volle evitare una guerra civile mentre il Paese era in balia di violenze infinite, chiamando a Roma l'uomo nuovo, l'uomo della Provvidenza, quel Mussolini che tutta la stampa internazionale ci invidiava, in questo cruciali periodo cosa faceva, cosa pensava?
Quella dei Savoia era una "monarchia rappresentativa", in virtù dello Statuto Albertino del 1848, come afferma l'insigne storico Prof. Aldo A.Mola, Presidente della Consulta dei Senatori del Regno, il sovrano non era superiore alle leggi: controfirmava le leggi decretate dai poteri legittimi, governo e parlamento. Nell'Italia del 1924 ove i parlamentari fascisti erano minoranza, doveva essere la Camera a delegittimare Mussolini non il sovrano! Mussolini ebbe il sopravvento non tanto per le violenze delle sue "squadracce" bensì per la debolezza dei politici, per le loro divisioni meschine, per un idealismo incapace di organizzare una vera, forte, opposizione al fascismo. Invano il sovrano chiese ai 124 esponenti dell'Aventino guidati da Giovanni Amendola, durante un'udienza, un atto parlamentare che gli consentisse di allontanare, rispettando lo Statuto, Mussolini dal potere. Non ebbe nulla! Fu costretto ad aspettare il 25 luglio 1943 con l'ordine del giorno Grandi, ma questa è un'altra storia.....
Il nostro rispetto a coloro che veramente, non con le "chiacchiere", ma con i fatti si opposero al fascismo pagando con la vita: don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, Gobetti ecc. Caro professor Tamburrano così sono andati i fatti.
Il Direttore Giuseppe Polito
Biblioteca Storica Regina Margherita Pietramelara - CE
U.M.I.
3 commenti:
Così sono andati i fatti? Può essere, ma mi sembra la solita Italia dove ognuno dice la sua e vuole avere ragione lui e basta portando l' acqua al suo mulino ed ergendosi a volte a verità assoluta. Vedi la figura di Vittorio Emanuele III. Chi dice una cosa, chi un' altra. Chi lo difende, chi critica aspramente la sua figura. Poi boh!
Senza, offesa ma ci devono essere dati storici comuni senza interpretazioni o ipotesi su cui essere d' accordo. Parlo in generale.
"a coloro che veramente, non con le "chiacchiere", ma con i fatti si opposero al fascismo pagando con la vita: don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, Gobetti ecc."
Quoto!
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