Riproponiamo un articolo estremamente interessante apparso il 24 maggio del 1946, a firma di Luigi Einaudi, sul quotidiano "L'Opinione". 4 colonne dense di significati dal titolo "Perché voterò per la monarchia".
Einaudi illustra le ragioni per cui reputava la Monarchia meglio della Repubblica, scelta condivisa da un numero altissimo di italiani al referendum del 2 Giugno. Due anni dopo, Luigi Einaudi venne eletto Presidente della Repubblica Italiana con 518 voti su 871.
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Non voterò per la monarchia perchè io pensi che il Re possa salvare gli averi di coloro che posseggono. Costoro sono bensì una moltitudine in Italia: di soli proprietari di terreni si contano 13 milioni,uno ogni tre abitanti e mezzo, più di uno per famiglia. Ma gli averi non si salvano fidando in una forza esteriore. Si salvano con il lavoro, coll'iniziativa, col risparmio, rinunciando adogni monopolio, ad ogni privilegio dannoso alla collettività.
Nè voterò per la monarchia perchè pensi che il Re possa essere le roi des gueux. Non devono più esistere in Italia, come un tempo accadeva, straccioni di cui il Re possa dire di essere il difensore contro la prepotenza dei grandi.
Non voterò neppure per la monarchia perchè speri che essa ci salvi dal salto nel buio di una repubblica comunista o socialista. Nessuno può salvare gli italiani dal salto nel buio o nell'abisso se non gli italiani stessi. Se non volessi, assai più che la vittoria della monarchia, la vittoria del bene del bene comune, dovrei augurare alla repubblica di iniziare il suo corso nel travagliato momento odierno: col 20 per cento della ricchezza nazionale distrutta, col reddito nazionale totale, ossia coll'insieme della produzione annua totale di beni e servigi, dalla quale soltanto si salvano salari, stipendi, interessi, guadagni, imposte, ridotto del 45 per cento in confronto all'anteguerra, colle disponibilità liquide (massa totale dei depositi presso le casse di risparmio e banche di ogni specie) nominalmente cresciute, ma in realtà ridotte di un terzo di quelle esistenti nel 1938. La impossbilità fisica assoluta di mantener le promesse che a gara i partiti vanno facendo, le prove della dura faticache tutti, appartenenti a tutte le classi sociali, dovremo sostenere, saranno causa di disillusioni acerbissime, delle quali la colpa sarà fatta risalire da molti, forse dai più, all'istituto che avremo scelto per dar forma allo stato.
Ma non voterò per la Repubblica, perchè temo per l'Italia il pericolo dal quale a grande stento si salvò il 5 maggio la Francia, repsingendo il progetto di costituzione che la maggioranza social-comunista aveva costruito. Quel progetto soddisfaceva alla logica astratta dei dottrinari. Se si parte dalla premessa che l'unica, la vera fonte del potere sia la volontà del popolo, è chiaro che da essa soltanto debbanoproveniretutte le forze politiche esistenti nel paese. Quando i cittadini hanno eletto una assemblea a suffragio universale segreto,a che prò una seconda assemblea ed un presidente eletti con metodi diversi, dallo stesso popolo, i quali altro non potrebbero fare, se volessero far qualcosa, se non frastornare o ritardare i deliberata della assemblea popolare? Dunque sia un'unica assemblea, sia da questa eletto il capo dello stato e sian oda essa e da essa sola dettate le norme relative al mantenimento della giustizia, alla libertà d ireligione, di pensiero, di stamp, di insegnamento, di associazione. I francesi ricordarono però che che le assemblee unichesovrane sono governate dai partiti, e che questi ubbidiscono, sovratutto in regime di rappresentanza proporzionale, a giutn ele quali, impadronitesi della macchian dei partiti, fanno le elezioni; che perciò è sempre imminente la tirannia delle assemblee, non meno dura della tirannia di uno solo. Ricordarono di aver preferito iltiranno alla strapotenza di una assemblea unica sovrana. Ricordarono la dominazione del primo Napoleone, seguita alla Convenzione e al Terroe, da cui si poterono liberare soltanot grazie alla ritirata diMosca, ed alle disfatte militari di Lipsia e di Waterloo; ricordaronola rinnovata tirannia del terzo Napoleone, anch'essa funesta a tutte el libertà politiche, seppure largitrice di tranquillità apparente edipropserità economica.Anch'essa era finita nella sconfitta di sedan e negli incendi della Comune.Non dimenticaronoanche che il signor Lebrun, l'ultimo presidente eletto dalle assemblee elettive, firmò l'atto di morte della terza repubblica.
Neanche la elezione del capo dello stato da partedel suffragio universale diretto e segreto col sistema della repubblica presidenziale, è garanzia di libertà. Conosciamo un solo esempio nella storia contemporanea di repubblica presidenziale stabile: ed è quello degli Stati Uniti. Ma quello è un miracolocovuto alla coincidenza di molteplici fattori storici, che sarebbe puro caso vedere riprodursi altrove: una lunga ultrasecolare preparazione di governo indipendente nei tredici stati riunitisi nel 1787 in federazione;Washington, il generale fondatore, sceso volontariamente da presidente alla condizione di gentiluomo di campagna, allo scadere del secondo quatriennio; un grande giudice, il Marshall, che fondò e difese l'autorità della Corte suprema contro gli attacchi di parlamentari e di presidentie creòil vero ultimo presidio delle libertà dei cittadini. LE esperienze uniche nella storia non si ripetono. Si ripetono invece lke esperienze sfortunatamente ordinarie delle repubbliche centreo e sud americane, dove i pronunciamentimilitari si succedono e le elezioni sono assalti al potere da parte di capi di fazioni e dove non sono rare le lunghe tirannie dei Rosas e dei Diaz. Accade anche che un presidente eletto dal popolo a tutotre della costituzione, secondo i dettami della troppo spaiente carte di Weimar, il maresciallo Hinderburg, consegni il potere al signor Hitler, all'Attila moderno.
No; gli uomini trovano libertà solo in se stessi , nella loro forza d'animo, nella decisa volontà di resitere nelel carceridello Spielberg all'austriaco dominatore, nei reclusori e nelle isole al nostro tirannoda palcoscenico, nelle carceri e alle torture tedesche e neo-fascistiche. Ma poichè dobbiamo creare nella carta costituzionale le garanzie della libertà per tutti i cittadini, anche per quelli che, senza essere eroi, servonoumilmente la patria compiendo il proprio dover, dico che, accanto alle due assemblee legislative, accanto ad un capo delgoverno, che goda la fiducia dell'assemblea popolare, perchè la sua elezione è parte della elezione di questa, accanto ad una magistratura autoreclutantesi e indipendente da governi e da assemblee politche, accanto ai consigli elettiviregionali, provinciali e comunali, forniti, neilimiti dei propri ben definiti e bene ragionati compiti, di piena autonomiadal governo centrale, accanto alle chiese e massimamaente alla chiesa delea grandemaggiornaza degli italiani che è la chiesa cattolica, accanto alle fondazioni ed alle associazioni, accanto alla scuola, istituti tutti volti ad opere autonome di bene, deve esistere un capo di stato, il quale tragga radi vita d auna fonte diversa dalla elezione.
Quest fonte è una forza storica, costituita da tradizioni, da opere compiute in passato attraverso secoli di lotte e che non possono essere distrutte da errori in tempo recente, che è un attimo nella vita dei popoli. Noi non possiamo dimenticare che il Piemonte e la casa Savoia con una lottasecolare avevano respinto, da un lato, sino al Ticino, spagnuoli e tedeschi e dall'altro lato, sino alle Alpi,ifrancesi,i quali pure vantavano diritti suCasalee su Asti e per lunghi anni avevano dominato la capitale dello stato sabaudo da Carmagnola e da Pinerolo, conquistando all'Italia quei confini naturali sulla cima delle montagne che oggi, per la sventura e la discordia delel due nazioni sorelle, si sono nuovamente contesi. Noi non possiamo dimenticare che fu così foggiata quella spada, furono fondati ed agguerriti quei reggimenti senza di cuila idea della unità di Italia sarebbe rimasta vana aspirazione di pensatori e poeti.
I lpatrimonio delle tradzioni e delle glorie avite è patrimonio di tutti, che dobbiamo trasmettere intatto ai figli ed ai nipoti. Lo dobbiamo trasmettere cresciuto e rinnovato. La monarchia, forza storica, potere posto al di sopra dei partiti , deve divnetare quell'istituto di cui in Inghilterra si dice che non se ne parla mai.
Se ne parlò un giorno, quando nel 1649 la testa di Carlo I cadde nella sala dei banchetti di Westminster, e di nuovo quando nel 1689 giacomo II fu costretoo a prendere la via dell'esilio.M anel 1689 un parlamentare, cappello in testa, lesse a Guglielmo, nipote del redecapitato ed a MAria, figlia del re esiliato, una dichiarazione nella quelera detto che mai più gli inglesiavrebbero tollerato che il loro re esigesse imposte non votate dal parlamento,traesse in arresto cittadini senza il mandato ed il giudizio del magistrato ordinario, sospendesse l'applizazione delle leggi senza il consenso del Parlamento, intralciasse la libertà di parola e di voto dei membri delle due camere. Sono passati 256 anni da quel giorno memorando; ed i re inglesi hanno imparato la lezione e sono oggi il simbolo della unità della comunità delle nazioni britanniche, un simbolo di cui non si parla mai eche non si invoca se non quando accadache una Camera dei comunidivisa e discrode in se stessa non riesca a designare chiaramente al capo dello stato colui che dovrà essere il primo ministro.
Questa è la monarchia per la quale noi votiamo; una monarchia la quale nei giorni ordinari sia il simbolo rappresentativo dell'unità della patria e della concordia dei cittadini, circondata da una corte austera, i cui membri siano scelti dal Re e dalla Regina sentito il parere conforme del primo ministro, ed adempia all'ufficio di tutrice delal costituzione e di organo della volontà del popolo nei momenti supremi della vita della nazione, quando le altre forze politche si dimostrano incapaci ad esprimere un governo stabile.
A quel re, memori delle parole che un tempo i compagni delle battagle comuni contro gli arabi indirizzavano in terra di Spagna ai sovrani nuovamente assunti al trono, noi diciamo, cappello in testa:
Noi, ognuno dei quali è uguale a te eche tutti insieme siamopiù di te, dichiariamo e vogliamo che tu sia Re per la difesa di tutti noi contro chiunque di noi si erga ad oppressore nostro e contro la follia di noi stessi se per avventura di persuadessimo a rinunciare alal nostra libertà. Se tu sarai Re per difendere no ie le nostre libertà,noi ti saremno fedeli perchè saremo, così facendo, fedeli a noi stessi, ai nostri avi ed ai nostri figli. Ma se tu non sarai il Re che noi vogliamo, sappi che non basterà più l'oblio dell'esilio volontario a lavare le tue colpe.
Così e non altrimenti ha il dovere di parlare chi si accinga a dare il suo voto per la conservazione della monarchia.
Einaudi illustra le ragioni per cui reputava la Monarchia meglio della Repubblica, scelta condivisa da un numero altissimo di italiani al referendum del 2 Giugno. Due anni dopo, Luigi Einaudi venne eletto Presidente della Repubblica Italiana con 518 voti su 871.
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Non voterò per la monarchia perchè io pensi che il Re possa salvare gli averi di coloro che posseggono. Costoro sono bensì una moltitudine in Italia: di soli proprietari di terreni si contano 13 milioni,uno ogni tre abitanti e mezzo, più di uno per famiglia. Ma gli averi non si salvano fidando in una forza esteriore. Si salvano con il lavoro, coll'iniziativa, col risparmio, rinunciando adogni monopolio, ad ogni privilegio dannoso alla collettività.
Nè voterò per la monarchia perchè pensi che il Re possa essere le roi des gueux. Non devono più esistere in Italia, come un tempo accadeva, straccioni di cui il Re possa dire di essere il difensore contro la prepotenza dei grandi.
Non voterò neppure per la monarchia perchè speri che essa ci salvi dal salto nel buio di una repubblica comunista o socialista. Nessuno può salvare gli italiani dal salto nel buio o nell'abisso se non gli italiani stessi. Se non volessi, assai più che la vittoria della monarchia, la vittoria del bene del bene comune, dovrei augurare alla repubblica di iniziare il suo corso nel travagliato momento odierno: col 20 per cento della ricchezza nazionale distrutta, col reddito nazionale totale, ossia coll'insieme della produzione annua totale di beni e servigi, dalla quale soltanto si salvano salari, stipendi, interessi, guadagni, imposte, ridotto del 45 per cento in confronto all'anteguerra, colle disponibilità liquide (massa totale dei depositi presso le casse di risparmio e banche di ogni specie) nominalmente cresciute, ma in realtà ridotte di un terzo di quelle esistenti nel 1938. La impossbilità fisica assoluta di mantener le promesse che a gara i partiti vanno facendo, le prove della dura faticache tutti, appartenenti a tutte le classi sociali, dovremo sostenere, saranno causa di disillusioni acerbissime, delle quali la colpa sarà fatta risalire da molti, forse dai più, all'istituto che avremo scelto per dar forma allo stato.
Ma non voterò per la Repubblica, perchè temo per l'Italia il pericolo dal quale a grande stento si salvò il 5 maggio la Francia, repsingendo il progetto di costituzione che la maggioranza social-comunista aveva costruito. Quel progetto soddisfaceva alla logica astratta dei dottrinari. Se si parte dalla premessa che l'unica, la vera fonte del potere sia la volontà del popolo, è chiaro che da essa soltanto debbanoproveniretutte le forze politiche esistenti nel paese. Quando i cittadini hanno eletto una assemblea a suffragio universale segreto,a che prò una seconda assemblea ed un presidente eletti con metodi diversi, dallo stesso popolo, i quali altro non potrebbero fare, se volessero far qualcosa, se non frastornare o ritardare i deliberata della assemblea popolare? Dunque sia un'unica assemblea, sia da questa eletto il capo dello stato e sian oda essa e da essa sola dettate le norme relative al mantenimento della giustizia, alla libertà d ireligione, di pensiero, di stamp, di insegnamento, di associazione. I francesi ricordarono però che che le assemblee unichesovrane sono governate dai partiti, e che questi ubbidiscono, sovratutto in regime di rappresentanza proporzionale, a giutn ele quali, impadronitesi della macchian dei partiti, fanno le elezioni; che perciò è sempre imminente la tirannia delle assemblee, non meno dura della tirannia di uno solo. Ricordarono di aver preferito iltiranno alla strapotenza di una assemblea unica sovrana. Ricordarono la dominazione del primo Napoleone, seguita alla Convenzione e al Terroe, da cui si poterono liberare soltanot grazie alla ritirata diMosca, ed alle disfatte militari di Lipsia e di Waterloo; ricordaronola rinnovata tirannia del terzo Napoleone, anch'essa funesta a tutte el libertà politiche, seppure largitrice di tranquillità apparente edipropserità economica.Anch'essa era finita nella sconfitta di sedan e negli incendi della Comune.Non dimenticaronoanche che il signor Lebrun, l'ultimo presidente eletto dalle assemblee elettive, firmò l'atto di morte della terza repubblica.
Neanche la elezione del capo dello stato da partedel suffragio universale diretto e segreto col sistema della repubblica presidenziale, è garanzia di libertà. Conosciamo un solo esempio nella storia contemporanea di repubblica presidenziale stabile: ed è quello degli Stati Uniti. Ma quello è un miracolocovuto alla coincidenza di molteplici fattori storici, che sarebbe puro caso vedere riprodursi altrove: una lunga ultrasecolare preparazione di governo indipendente nei tredici stati riunitisi nel 1787 in federazione;Washington, il generale fondatore, sceso volontariamente da presidente alla condizione di gentiluomo di campagna, allo scadere del secondo quatriennio; un grande giudice, il Marshall, che fondò e difese l'autorità della Corte suprema contro gli attacchi di parlamentari e di presidentie creòil vero ultimo presidio delle libertà dei cittadini. LE esperienze uniche nella storia non si ripetono. Si ripetono invece lke esperienze sfortunatamente ordinarie delle repubbliche centreo e sud americane, dove i pronunciamentimilitari si succedono e le elezioni sono assalti al potere da parte di capi di fazioni e dove non sono rare le lunghe tirannie dei Rosas e dei Diaz. Accade anche che un presidente eletto dal popolo a tutotre della costituzione, secondo i dettami della troppo spaiente carte di Weimar, il maresciallo Hinderburg, consegni il potere al signor Hitler, all'Attila moderno.
No; gli uomini trovano libertà solo in se stessi , nella loro forza d'animo, nella decisa volontà di resitere nelel carceridello Spielberg all'austriaco dominatore, nei reclusori e nelle isole al nostro tirannoda palcoscenico, nelle carceri e alle torture tedesche e neo-fascistiche. Ma poichè dobbiamo creare nella carta costituzionale le garanzie della libertà per tutti i cittadini, anche per quelli che, senza essere eroi, servonoumilmente la patria compiendo il proprio dover, dico che, accanto alle due assemblee legislative, accanto ad un capo delgoverno, che goda la fiducia dell'assemblea popolare, perchè la sua elezione è parte della elezione di questa, accanto ad una magistratura autoreclutantesi e indipendente da governi e da assemblee politche, accanto ai consigli elettiviregionali, provinciali e comunali, forniti, neilimiti dei propri ben definiti e bene ragionati compiti, di piena autonomiadal governo centrale, accanto alle chiese e massimamaente alla chiesa delea grandemaggiornaza degli italiani che è la chiesa cattolica, accanto alle fondazioni ed alle associazioni, accanto alla scuola, istituti tutti volti ad opere autonome di bene, deve esistere un capo di stato, il quale tragga radi vita d auna fonte diversa dalla elezione.
Quest fonte è una forza storica, costituita da tradizioni, da opere compiute in passato attraverso secoli di lotte e che non possono essere distrutte da errori in tempo recente, che è un attimo nella vita dei popoli. Noi non possiamo dimenticare che il Piemonte e la casa Savoia con una lottasecolare avevano respinto, da un lato, sino al Ticino, spagnuoli e tedeschi e dall'altro lato, sino alle Alpi,ifrancesi,i quali pure vantavano diritti suCasalee su Asti e per lunghi anni avevano dominato la capitale dello stato sabaudo da Carmagnola e da Pinerolo, conquistando all'Italia quei confini naturali sulla cima delle montagne che oggi, per la sventura e la discordia delel due nazioni sorelle, si sono nuovamente contesi. Noi non possiamo dimenticare che fu così foggiata quella spada, furono fondati ed agguerriti quei reggimenti senza di cuila idea della unità di Italia sarebbe rimasta vana aspirazione di pensatori e poeti.
I lpatrimonio delle tradzioni e delle glorie avite è patrimonio di tutti, che dobbiamo trasmettere intatto ai figli ed ai nipoti. Lo dobbiamo trasmettere cresciuto e rinnovato. La monarchia, forza storica, potere posto al di sopra dei partiti , deve divnetare quell'istituto di cui in Inghilterra si dice che non se ne parla mai.
Se ne parlò un giorno, quando nel 1649 la testa di Carlo I cadde nella sala dei banchetti di Westminster, e di nuovo quando nel 1689 giacomo II fu costretoo a prendere la via dell'esilio.M anel 1689 un parlamentare, cappello in testa, lesse a Guglielmo, nipote del redecapitato ed a MAria, figlia del re esiliato, una dichiarazione nella quelera detto che mai più gli inglesiavrebbero tollerato che il loro re esigesse imposte non votate dal parlamento,traesse in arresto cittadini senza il mandato ed il giudizio del magistrato ordinario, sospendesse l'applizazione delle leggi senza il consenso del Parlamento, intralciasse la libertà di parola e di voto dei membri delle due camere. Sono passati 256 anni da quel giorno memorando; ed i re inglesi hanno imparato la lezione e sono oggi il simbolo della unità della comunità delle nazioni britanniche, un simbolo di cui non si parla mai eche non si invoca se non quando accadache una Camera dei comunidivisa e discrode in se stessa non riesca a designare chiaramente al capo dello stato colui che dovrà essere il primo ministro.
Questa è la monarchia per la quale noi votiamo; una monarchia la quale nei giorni ordinari sia il simbolo rappresentativo dell'unità della patria e della concordia dei cittadini, circondata da una corte austera, i cui membri siano scelti dal Re e dalla Regina sentito il parere conforme del primo ministro, ed adempia all'ufficio di tutrice delal costituzione e di organo della volontà del popolo nei momenti supremi della vita della nazione, quando le altre forze politche si dimostrano incapaci ad esprimere un governo stabile.
A quel re, memori delle parole che un tempo i compagni delle battagle comuni contro gli arabi indirizzavano in terra di Spagna ai sovrani nuovamente assunti al trono, noi diciamo, cappello in testa:
Noi, ognuno dei quali è uguale a te eche tutti insieme siamopiù di te, dichiariamo e vogliamo che tu sia Re per la difesa di tutti noi contro chiunque di noi si erga ad oppressore nostro e contro la follia di noi stessi se per avventura di persuadessimo a rinunciare alal nostra libertà. Se tu sarai Re per difendere no ie le nostre libertà,noi ti saremno fedeli perchè saremo, così facendo, fedeli a noi stessi, ai nostri avi ed ai nostri figli. Ma se tu non sarai il Re che noi vogliamo, sappi che non basterà più l'oblio dell'esilio volontario a lavare le tue colpe.
Così e non altrimenti ha il dovere di parlare chi si accinga a dare il suo voto per la conservazione della monarchia.
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